lunedì 4 ottobre 2021

RAZZE, MALTRATTAMENTO GENETICO E BIG MONEY

 

-        -  I cani e i gatti di razza sono selezionati a fini di commercio, con la conseguenza di ingenerare negli animali gravi tare genetiche e malattie ereditarie che influiscono pesantemente sulla qualità della loro vita. Gli animali di razza sono GRAVEMENTE MALTRATTATI per selezione, e presentano deformità e malattie spesso assai gravi e invalidanti. I carlini, i bassotti e gli sphynx non sono belli, né teneri né simboli di lusso, ma individui costretti ad una vita infelice per soddisfare i capricci di chi li compra. –

Uno degli esiti del capitalismo dell’ultimo secolo, con i suoi modelli di produzione e consumo, è la selezione di razze di animali domestici (principalmente cani e gatti, anche se non si possono dimenticare per es. i conigli) portatrici di gravi tare genetiche, malformazioni fisiche drammatiche e affetti da malattie ereditarie in modo estremamente frequente.

Dietro tutto questo c’è il commercio di animali (i cosiddetti “allevamenti”) e la tendenza degli umani, come mammiferi, a desiderare la compagnia di piccoli amici simili a neonati bisognosi di cure ed affetto.

I cuccioli dei mammiferi hanno caratteristiche fisiche che evocano negli adulti istinti di cura. Testa relativamente grande e rotonda, occhi grandi, voce sottile, sono caratteri tipici dei cuccioli che costituiscono un richiamo che induce negli adulti un comportamento protettivo, di alimentazione e cura. Per questo molte persone vanno matte per i cuccioli (so per esperienza che è molto facile affidare un gattino di 2 mesi, e diventa molto più difficile a 4 mesi, anche se si tratta sempre di un gatto molto giovane).

Mettiamoci pure che possedere un animale di razza, specie se “di moda” e magari costoso ed esteticamente “particolare”, è, come per qualsiasi altro oggetto sottoposto a mercato, un segno di status. Inoltre, certe razze evocano anche sentimenti trasposti di superiorità, forza e rivalsa sugli altri (parlo di razze più o meno grandi, forti e potenzialmente pericolose, come bulldog o pittbull).

A partire dalla seconda metà del 19° sec. In Inghilterra sono nati i primi “club di razza” cinofili, unioni di allevatori e appassionati che hanno stabilito gli standard di razza che di seguito hanno portato alla modificazione progressiva dei cani fino ad arrivare alle forme attuali.

In precedenza le razze erano poche e da lavoro, per cui selezionate per specifici compiti  (caccia, pastorizia, guardia), e con il fine di produrre animali comunque resistenti e solidi. Questo ha portato ad ottenere un numero di limitato di razze, con particolari tendenze comportamentali, ma complessivamente sane e non eccessivamente modificate.

Attualmente invece si è arrivati ad animali che per rispondere agli standard presentano deformità evidenti ed invalidanti, e che presentano malattie ereditarie di varia natura con frequenza molto più alta dei cani non selezionati.

Tutte le razze brachicefale e dolicocefale, cioè con cranio accorciato e muso più o meno ridotto (Cavalier king, carlini, bulldog, ecc.) hanno una deformazione gravissima che comporta problemi alla respirazione, alla masticazione, agli occhi, ecc. Questo è un carattere cercato appositamente, e comporta SEMPRE gravi problemi per l’animale che lo porta.

Esistono razze giganti o nane (toy), dagli alani ai chihuahua.

Ci sono razze con problemi scheletrici assai frequenti, come displasia di anca e gomito, discopatie intervertebrali, lussazione rotulea.

Ci sono poi varie cardiopatie congenite, problemi allo stomaco, agli occhi, al sistema nervoso, dermatiti e anche patologie del comportamento che sono particolarmente frequenti in certe razze. Personalmente, non ho conosciuto nessun boxer che non sia stato affetto da tumori.

Questo naturalmente comporta sofferenze gravi e spesso continue per gli animali affetti, e ingenti costi per cure veterinarie e farmaci per i proprietari.

Naturalmente, esistono allevatori e allevatori, da “spacciatori di cuccioli” di dubbia provenienza e a basso costo, ad allevatori poco seri, ad altri più seri che cercano di limitare i danni. Si tratta comunque di commercio di esseri viventi, che a mio avviso non è diverso dal commercio di schiavi umani.

Quindi, perché continuare con la selezione delle razze (cosa peraltro generalmente non accettata, giustamente, in ambito umano) e con la produzione di animali malati? Perché continuare ad alimentare un mercato con regole che comportano sofferenza per gli animali che molti dicono di amare?

C’è un problema di coscienza del problema grande come una casa.

Io consiglio la lettura del libro citato come fonte, che è scritto da un veterinario e illuminante sotto molti aspetti. E ricordo che, per chi vuole un amico (e non un oggettino da mostrare e sbandierare), ci sono canili e gattili pieni di animali meticci (ma non solo) che aspettano qualcuno che gli possa concedere una vita decente.

 

Fonte: Massimo Raviola - Che razza di bastardo – Cani, gatti e maltrattamento genetico. Un passo verso l’adozione consapevole. Ed. L’età dell’acquario.

 







 

domenica 26 settembre 2021

Transizioni

 Dalla società, da Greta e da chi ha capito la gravità della crisi climatica, arrivano istanze di rinnovamento radicale. Ma naturalmente la politica, e dietro di essa i poteri economici, continuano gattopardescamente a parlare di "transizione ecologica". In pratica si tratta di modificare i sistemi di produzione energetica per abbassare il livello di CO2 atmosferico. Di per sé la cosa sarebbe anche utile, non sembrasse il solito modo del capitalismo di cambiare volto per non cambiare proprio nulla del proprio potere sul globo. Infatti le grandi aziende stanno enfatizzando il loro impegno ambientale e la loro conversione alle energie rinnovabili. Si parla addirittura di nuovo nucleare, un nucleare piccolo e sostenibile. Sicuramente anche il nucleare avrà fatto i suoi progressi tecnologici, ma rimango contraria e non tanto e non solo per gli aspetti di pericolo ambientale. Si potrebbero fare discorsi simili anche per l'energia idroelettrica e per l'eolico. Non c'è nulla che non abbia impatti. E tutto il nuovo (nuovi impianti, nuove centrali) per essere costruito ora ha bisogno di energia derivante da fonti fossili, per la maggior parte. 

Il problema grave a mio avviso è che si continui sempre e solo di parlare di conversione energetica, con gli occhi puntati alla concentrazione di CO2, senza guardare tutto il resto della devastazione ambientale che ha poco o niente a che vedere con l'energia. O meglio, più energia si produce, più la si usa per compiere danni. 

Ci sono problemi che l'energia disponibile non può che favorire: la deforestazione, l'uso indiscriminato del suolo, la produzione agricola per la gran parte destinata a foraggi, gli allevamenti, la perdita di biodiversità, l'inquinamento di acqua, aria e suoli, la produzione di rifiuti, l'invasione delle plastiche (non sarà che, dovendo ripiegare sulla produzione energetica, i petrolieri si butteranno ancora di più sulla produzione dell'usa e getta?), l'estinzione di specie, la diffusione di virus patogeni, gli incendi, la scarsità idrica, ecc. ecc. 

Il problema vero è: cosa ce ne facciamo dell'energia? 

Se l'energia ci serve per mantenere lo stato attuale delle cose, servirà a poco abbassare il livello di CO2 (sempre che ci si riesca, cosa di cui dubito molto). Se l'energia serve a muovere i motori delle motoseghe che abbattono alberi, a muovere veicoli che si spostano da una parte all'altra del globo per motivi futili o per trasportare merci inutili, a costruire armamenti, a produrre montagne di confezioni usa e getta, a far girare le ruote dei trattori che trebbiano foraggi, a far funzionare le mungitrici e i nastri trasportatori di miliardi di corpi animali massacrati per nulla, se insomma l'energia ci servirà solo a mantenere una situazione di distruzione ambientale e di crescenti e disperanti disparità sociali (e nella società ci metto le altre specie, al fondo della piramide dello sfruttamento), non si potrà che continuare a distruggere il pianeta e la nostra specie nel peggiore dei modi.

Lo si dice da decenni e non c'è modo di uscirne, anche dal punto di vista puramente fisico: non ci può essere una crescita infinita su un pianeta finito. Non si possono creare sistemi ordinati a bassa entropia senza aumentare l'entropia dell'ambiente circostante. Né può aumentare indefinitamente la popolazione, già oggi assai superiore a quanto il pianeta possa sopportare (chiaramente con grandi distinguo tra situazioni socio-economico diverse, ma la tendenza è generale), né possono aumentare i consumi senza ulteriori e tragici danni ambientali. La decrescita, che non è necessariamente impoverimento ma sicuramente un'ottica assai più modesta nei consumi fisici, è necessaria, o temo che tra non molto ci saremo costretti, e nei modi più tristi e disuguali (tanto per cambiare). 

Se non si cambia atteggiamento generale, e se non lo si impone alle forze economiche, io purtroppo prevedo un futuro assai misero, se non tragico, per le nuove generazioni.  




domenica 13 giugno 2021

I papaveri

 Primi giorni di vera estate e vero caldo. 

Si vorrebbe essere al mare, dentro un ruscello fresco, invece di spera e basta, ché come sempre il dovere incombe. Tra una proposta e l'altra, alla fine mi ritrovo ad uscire da sola per una lunga passeggiata. 

Mi piace camminare, è forse l'attività che preferisco. Si può pensare, si può guardarsi intorno e scoprire cose che di solito non si notano, si possono fare fotografie o semplicemente osservare le piccole e grandi cose che di solito la fretta nasconde. Camminare restituisce il tempo reale e porta praticamente dappertutto. 

Così ho scoperto vie nuove, nuovi giardini, nuove case, e soprattutto i gelsi carichi di frutti che ho mangiato colorandomi le mani di viola, i campi ancora coltivati, i campi incolti, le erbe spontanee, le vitalbe avviluppate sui pioppi e una capinera sull'abete proprio vicino casa. Le canne ai bordi della strada, i rondoni con la prima nidiata già in volo a garrire bassi sopra di me, e tanti papaveri nel prato incolto. 

Su tutto, il caldo e il silenzio della città abbandonata dai sui abitanti che tanta strada fanno per trovare bellezze che tutto sommato possono anche essere molto vicine, se le si preserva.

Ho fatto qualche fotografia, tra qui queste due, ai fiori della vitalba e all'iperico cresciuto in poco terreno arido vicino ai binari della metropolitana.






Le lucciole

Qualche sera fa sono uscita con Macchia per fare il solito giretto, ma volevo vederle, almeno una volta, così ho allungato e mi sono diretta al solito prato vicino alla ferrovia. 

Era tardi e le strade erano deserte, la città assai silenziosa. Ombre nere ogni tanto mi inghiottivano, ma il profumo dei tigli fioriti mi guidava e dava vigore ai miei passi. 

Sono arrivata al prato, ho slacciato il cane, che si è slanciato a correre come sempre, annusando qua e là nell'erba. Tutto era silenzioso ed ero completamente sola. La roggia gorgogliava appena, un rumore sommesso che di giorno non si percepisce mai. 

Ho attraversato il buio sotto i frassini e ho salito la piccola salita della collinetta, poi ho raggiunto la zona incolta al di là, dove sapevo di trovarle. 

ECCOLE! 

Erano lì, come tutti gli anni all'inizio dell'estate, galleggiavano come tante minuscole lanterne luminose dentro un mare scurissimo. Danzavano sopra le erbe, nell'aria che odorava di timo e di piccole erbe nel pieno della loro turgida vita delle piogge d'estate. 

Quando le vedo vengo sempre sommersa dai ricordi. Di quando, da piccola, uscivo con padre e sorella e andavo a inseguirle nel prato fuori casa, per catturarne qualcuna, metterle in un barattolo e poi liberarle poco dopo. Di quando, non molti anni fa, ho visto un prato inondato di piccole luci vicino alla strada sulla via del mare. Di tante volte che, a maggio, uscivo la sera e le vedevo danzare nel prato e nell'orto dietro la casa di famiglia. E' per me sempre un'epifania struggente, un momento di gioia e anche di lacrime, perché io a volte mi perdo e loro invece lo scopro sempre lì, a danzare sul prato la loro breve vita silenziosa e bellissima.

Mi sono voltata, ho ridisceso la collinetta, ho richiamato Macchia e sono tornata a casa. 

So che ci sarete sempre. So che vi troverò oltre la collina, tra le erbe selvatiche e il profumo dei tigli.






mercoledì 24 marzo 2021

Poesia 26 febbraio 2019

 26 febbraio 2019

A volte la mente si apre all'improvviso per motivi piccoli e apparentemente insignificanti. 

Un pomeriggio passavo in auto in una zona periferica, tra cantieri e fossi ancora spelacchiati dall'inverno, ho visto le sterpaglie a bordo di un campo e mi si sono presentate queste parole. Così mi sono fermata, ho preso il taccuino e ho scritto. 



Tra le erbe secche d’inverno

Stoppie ispide e nere

Un fosso freddo

Livido e cupo

-        E ricordo ruscelli limpidi

E rogge contaminate dalle seterie

E ampi fiumi maestosi nel cuore d’Europa

I grandi fiumi delle steppe.

Ma sono io, lontana, e se ci fossi

Se ci fossi davvero

Dovrei accettare la morte

E spesso preferisco non essere

-        Lo preferisco al pianto che scuote.

O forse solo non vi voglio

Non vi voglio, consolatori

Non vi voglio, perfetti

Non vi voglio, paurosi

Non vi voglio, voi che allontanate

              Voi che tremate

              Voi che chiudete gli occhi

              Voi che uccidete.

No, non vi voglio

E neppure voglio

Le vostre ragioni per vivere

Il vostro buonsenso

Le vostre terrificanti rassicurazioni

Ché no, non ringrazierò mai

Per essere nata

-        Lo sopporto e mi sorreggo

Sempre da me.

Preferisco i fossi d’inverno

Dove qualche malerba cresce

Qualche arbusto spinoso germoglia

Qualche inutile erba selvaggia fiorisce

-        Malgrado voi.




 Una poesia scritta il 23 marzo 2016

IL FAGGIO

Quando sarà la fine
non sarà notte, né inverno,
né ci sarà pioggia, ma solo
luce verde tra le foglie
e brillanti riflessi sulle gemme.
Quando sarà la fine
guarderò in alto e sarò felice
perché lui sarà lì
a proteggermi e consolarmi.
Quando sarà la fine, forse sarà inverno
forse pioverà
forse saranno gelide mura
ma non per me, non per lui,
sarà la primavera verde e lucente
rigurgitante linfa
la primavera eterna del ritorno
e allora neppure sarà una fine
ma un inizio, sopra le solide radici
e al vento tiepido tra le fronde forti.



venerdì 26 febbraio 2021

SCIENTISMO E ALTRI TERRORI

 Apro questo blog con una riflessione su un tema che ad oggi reputo importante. Giorni fa un mio amico è stato accusato, durante una discussione su FB, di scientismo

Lo scientismo è l'atteggiamento di chi spiega ogni cosa solo tramite la scienza, non accetta altri approcci e attribuisce ad essa significati assoluti e dogmatici.

Ora, io ritengo che lo "scientismo" sia una contraddizione in termini, e mi spiego. La scienza non è un contenuto, è un metodo. La scienza, se non è una buffonata buttata lì da persone interessate o poco serie, non è un dogma, non può esserlo. Perché i suoi metodi semplicemente non possono essere dogmatici e si basano su sperimentazione e validazione di ipotesi. Se un'ipotesi, per quanto bella e attraente, non viene validata dalla sperimentazione, semplicemente va rigettata e bisogna trovare altre spiegazioni. 

Lo scienziato non è un sacerdote, lo scienziato è uno che umilmente si mette alla ricerca, prova e riprova, finché trova delle spiegazioni e delle costanti, e allora afferma ragionevolmente di aver formulato un'ipotesi corretta e aver trovato una spiegazione valida di un fenomeno (teoria). Fermo restando che tale spiegazione non è l'assoluto, anche se funziona bene, ma potrà essere rivista o corretta da chi ci lavorerà dopo di lui.

"La scienza non è democratica"

Questa frase, messa lì a mo' di dogma da personaggi che amano il loro ego più della scienza, è una colossale (scusate) minchiata.

Non è proprio vero, anzi. Certo, non è che uno che ha studiato lettere classiche può prendersi la briga di mettere in discussione così, senza prove, i risultati della fisica quantistica. Ma questa è una banale questione di competenze che può porsi solo in un mondo dominato da leoni da tastiera e da multiesperti da social.

Nella realtà, la scienza DEVE essere democratica al suo interno, altrimenti appunto diventa dogma; ogni risultato viene sottoposto alla revisione di colleghi, e se non funziona e non è valido non c'è niente da fare, si butta via. Niente è per sempre, e il fine è il miglioramento di ipotesi e tecniche, non il raggiungere chissà quale verità assoluta. La scienza non è perfezione, ma tende ad un costante miglioramento che comunque sa già essere asintotico.

Poi certo: ogni scienziato, come ogni panettiere, è pure un essere umano, e come tale può essere una persona valida e onesta, un borioso, uno psicopatico o anche un perfetto cretino. Ma questo, come si vede, non è un problema del metodo-scienza, ma di chi la fa. Come per ogni ambito in cui si muove l'uomo.

Attribuire alla scienza significati che non ha, e poi accusarla di essere un dogma, può significare solo due cose: se si è un buona fede, non si sa cosa sia la scienza (credo sia il problema maggioritario); se si è in malafede, la si vuole screditare a proprio vantaggio. 

Sarebbe meglio, prima di dire "evita lo scientismo", di sapere almeno di cosa si parla. 




CHI SI OPPONE ALLO SVILUPPO MUORE

Ennesimo assassinio, in Honduras, di un attivista per l'ambiente. "L’ultima vittima è Oscar Oquelí Domínguez, attivista ambientale ...